Il modello di Whipple Il modello comunemente accettato all'inizio del
secolo prevedeva che le comete fossero costituite da un insieme di particelle di materiale
meteoritico, di natura estremamente porosa, contenenti una notevole quantità di gas
molecolare che, liberato dall'azione del Sole, originava la chioma. Tale modello,
denominato a mucchio di ghiaia, trovava la sua ragione d'esistere
nell'analisi spettroscopica della chioma ed in quella chimica e morfologica del materiale
meteoritico (la cui provenienza era da tempo associata a comete ormai distrutte); il
problema della stabilità gravitazionale (considerato cruciale per garantire la
sopravvivenza all'azione del Sole) fu risolto nel 1902 da O. Callandreau che dimostrò
come già per un agglomerato di 10 km di raggio e 1017g di massa la stabilità
gravitazionale era garantita.
Si possono, a proposito di questo modello, fare le seguenti considerazioni (Tempesti,
1985):
1. il numero di molecole di C2
della chioma è stimabile (indicazione tratta dallo studio degli spettrogrammi) in 1035-
1037, e la loro vita media è inferiore a un giorno (il che comporta che la
chioma venga quotidianamente rinnovata completamente);
2. analisi di laboratorio
indicano che il materiale meteoritico è in grado, mediamente, di assorbire 1019
molecole di gas per grammo, e questo porta ad ipotizzare, considerando un nucleo di 1018
g, la presenza di un totale di 1037 molecole assorbite;
3. a questo punto i conti non
tornano: assumendo, infatti, che il numero complessivo di molecole della chioma sia 10
volte quello di C2, si può subito notare che la chioma cometaria prodotta
secondo il modello del mucchio di ghiaia potrebbe essere alimentata per un giorno
soltanto...
Nel 1950 F.L. Whipple mise in discussione tale modello e ne propose uno nuovo: la
palla di neve sporca. Whipple, in sostanza, scartava il concetto di nucleo
cometario come aggregato di materiale meteoritico legato dalla gravità introducendo, al
suo posto, un nucleo compatto composto di ghiaccio e di materiale non volatile. Nel
modello di Whipple 1 grammo di ghiaccio può produrre da 1022 a 1023
molecole, il che comporta una disponibilità teorica di 1040- 1041
molecole e dunque, rispetto al modello precedente, una possibile attività cometaria per
un tempo da 103 a 104 volte più lungo. Nel delineare le
caratteristiche del suo modello, Whipple inizia dall'analisi delle temperature di fusione
ed ebollizione delle molecole ritenute responsabili della formazione della chioma, vale a
dire CH4, CO2, NH3, C2N2 e H2O.
Non appena, infatti, il nucleo si avvicina al perielio, l'aumento dellirraggiamento solare
innalza la temperatura superficiale delle zone esposte al sole provocando in tal modo la
vaporizzazione dei ghiacci e la loro dispersione nello spazio circostante. Anche il
materiale meteoritico con dimensioni al di sotto di un certo limite viene espulso a causa
della bassa attrazione gravitazionale del nucleo e da' origine alla formazione della coda
di polveri. Si può verificare che alcune particelle più grandi o di maggiore densità
possano essere rimosse dallo shock termico, ma normalmente esse resteranno sulla
superficie producendo in tal modo uno strato isolante: questo guscio sarebbe il
responsabile della sostanziale riduzione della perdita di gas del nucleo nei passaggi
successivi della cometa.
Se tutta la radiazione solare venisse assorbita, un oggetto sferico posto ad 1 U.A. dal
Sole perderebbe in un anno, per vaporizzazione dalla sua superficie, uno strato di
ghiaccio di circa 4 metri (Whipple, 1950). Bisogna tener presente, però, che
se il materiale meteorico è una aggregazione a grana grossa e debolmente cementata, la
conduzione del calore sarà bassissima a causa della ridotta superficie di contatto tra le
particelle che costituiscono lo strato superficiale del nucleo e questo comporta una
riduzione del coefficiente di trasmissione del calore di un fattore 104
rispetto a quello di un corpo solido compatto, rendendo poco efficace questa modalità di
trasferimento del calore. Il meccanismo più efficiente per il trasferimento del calore
solare dalla superficie del nucleo al suo interno sembra identificabile con la modalità
dell'irraggiamento, vale a dire l'emissione di radiazione a bassa temperatura assorbita
dalle particelle meteoritiche.
La parte più interna del nucleo cometario sarà pertanto sempre estremamente fredda, non
solo per la descritta bassa conduttività termica, ma anche perchè il calore disponibile
è stato impiegato nella vaporizzazione, un meccanismo estremamente efficace di
refrigerazione nel vuoto.
Oltre alla produzione e al mantenimento della chioma nel corso di un
passaggio, vi erano altri 3 fatti cruciali per i quali il modello precedente era
inadeguato:
1. La presenza di comete
(solitamente indicate con il termine di Sun-grazer) che si avvicinano moltissimo al
Sole e non vengono completamente disintegrate. Il calore estremamente elevato dovrebbe
far sublimare tutte le sostanze assorbite e gran parte dello stesso materiale meteoritico
che le compone; inoltre le forze mareali disperderebbero facilmente i piccoli corpi
componenti il nucleo.
2. La presenza di comete periodiche.
La struttura a mucchio di ghiaia non potrebbe assorbire nuovo materiale per
rimpiazzare quello espulso nel passaggio precedente, data la bassissima disponibilità
offerta dallo spazio interplanetario, e dunque sarebbe impossibile per una cometa
ripresentarsi più volte allappuntamento con il necessario contenuto di sostanze volatili.
3. Il moto talvolta "non
gravitazionale" delle comete. Il modello ritenuto valido prima di Whipple non
consentiva di spiegare come mai alcune comete anticipassero il ritorno al perielio ed
altre, invece, lo ritardassero; la Encke, per esempio, anticipa mediamente ogni suo
ritorno di 2 ore e mezza rispetto all'istante calcolato tenendo conto di tutte le
possibili perturbazioni gravitazionali, mentre la Halley ad ogni ritorno è in ritardo di
circa 4 giorni.
Il modello proposto da Whipple superava brillantemente tutti e tre questi ostacoli:
1. Un corpo compatto con le dimensioni
di un nucleo cometario riesce a passare nelle vicinanze del Sole senza volatilizzare del
tutto, ma solamente in un sottile guscio esterno. E' certamente possibile che si possano
verificare delle fratture del nucleo (fatto avvenuto per la cometa Ikeya-Seki), ma non la
sua completa dispersione.
2. Se il nucleo è composto
principalmente di ghiacci, non ha la necessità di dover rimpiazzare lungo l'orbita il
materiale che, sublimando, ha dato origine alla chioma in quanto la massa stimata di un
nucleo cometario compatto può, infatti, abbondantemente rendere ragione dei numerosi
passaggi delle comete periodiche.
3. Che la causa del moto "non
gravitazionale" delle comete potesse essere identificata con una forza di reazione
conseguente alla espulsione di gas dal nucleo era stato proposto da Bessel nella prima
metà del secolo scorso (si contrapponeva all'ipotesi che proponeva l'esistenza di un
mezzo resistente interplanetario), ma i calcoli escludevano che i gas liberati nel modello
a mucchio di ghiaia potessero avere intensità sufficiente. Nel modello di Whipple,
invece, le velocità termiche di espulsione delle molecole dal nucleo a seguito della
sublimazione di ghiacci (con valori dell'ordine di decine di m/sec) possono giustificare
la presenza di un effetto-razzo; nella cometa di Halley sono stati rilevati dalla sonda
Giotto veri e propri getti di gas e polveri uscenti da fessure presenti nella crosta
superficiale del nucleo nel lato rivolto verso il Sole. L'anticipo o il ritardo del
ritorno al perielio di una cometa può essere spiegato proprio ricorrendo a questo
effetto-razzo ed alla presenza di una rotazione del nucleo (Figura 15 - Whipple, La
natura delle comete, pag.285).
|
Figura 15
Spiegazione dell'effetto-razzo:A se
la rotazione del nucleo è concorde con il moto di rivoluzione, la reazione del getto
spingerà la cometa in avanti sull'orbita, allargandola, facendo in tal modo aumentare il
periodo (ritardo al passaggio successivo).
B se il nucleo ruota in
direzione opposta al suo moto orbitale intorno al Sole, l'effetto-razzo causerà una forza
frenante che spingerà la cometa verso l'interno in direzione del Sole, con la conseguente
diminuzione del periodo (anticipo al passaggio successivo). |
Una cometa è dunque sostanzialmente composta da un nucleo, costituito da un
agglomerato di ghiacci e polveri la cui struttura interna ci è sconosciuta, orbitante
intorno al Sole; l'innalzamento della temperatura incontrato nel moto di avvicinamento al
perielio provoca l'evaporazione dei ghiacci e la conseguente espulsione dal nucleo di
materiale volatile e polvere che va a costituire la chioma.
L'interazione di questa struttura con il campo magnetico interplanetario e con il vento
solare origina una scia visibile denominata coda, rivolta sempre, come
una banderuola segna-vento in direzione opposta al sole
(vedi Figura 16 - riprodotta da: Hamilton, http://bang.lanl.gov/solarsys/comet.htm maggio
1996).
Ritengo molto interessante, prima di passare ad analizzare la morfologia
delle parti che compongono una cometa (nucleo, chioma e coda) presentare una tabella che
riporta le abbondanze relative delle sostanze gassose, volatili (ghiacci) e non volatili
(alla temperatura terrestre ordinaria) nei corpi del Sistema Solare verificando in tal
modo la consistenza delle teorie che identificano la zona di Urano e Nettuno quale zona
principale di formazione dei corpi cometari.
|
Gassose |
Volatili |
Non volatili |
Sole |
0.99 |
0.015 |
0.0025 |
Pianeti terrestri |
tracce |
tracce |
1.0 |
Giove |
0.9 |
0.1 |
tracce |
Urano/Nettuno |
tracce |
0.85 |
0.15 |
Comete |
tracce |
0.90 |
0.10 |
(Da: Tempesti - Giornale di Astronomia vol.11,
n.2, 145; 1985)
Una seconda tabella (desunta dai dati ottenuti dall'esplorazione
ravvicinata della cometa Halley) permette un ulteriore confronto tra il materiale
cometario ed i valori tipici del Sistema Solare analizzando i rapporti isotopici di alcuni
elementi. Tale raffronto consente di esprimere due considerazioni:
A. la sostanziale concordanza dei
parametri della Halley con quelli riferiti al Sistema Solare per carbonio, azoto e zolfo
non può che confermare l'origine "solare" del materiale cometario;
B. la discordanza nel caso del rapporto
deuterio/idrogeno può essere interpretata in termini evolutivi, nel senso l'intensa
fotodissociazione dell'acqua produce la liberazione di enormi quantità di idrogeno, e
questo fenomeno interessa preferenzialmente l'idrogeno normale, più leggero rispetto al
deuterio; da qui l'incremento della quantità relativa di quest'ultimo (Guaita, 1990).
|
Halley |
Sistema Solare |
D / H |
5x10-4 |
10-5 |
C 12 / C 13 |
80±20 |
89 |
N 14 / N 15 |
250±100 |
270 |
S 34 / S 32 |
0.045±0.01 |
0.044 |
(Da: L'Astronomia, 98,
30; 1990)
Il nucleo
Ciò che stupisce maggiormente
allorchè si voglia affrontare l'analisi di un nucleo cometario è l'impossibilità di una
sua osservazione diretta. Quando la distanza da noi potrebbe essere favorevole per una sua
agevole osservazione, infatti, è completamente avvolto e nascosto dalla chioma che esso
stesso ha originato; quando, al contrario, tale chioma è assente, il nucleo cometario si
trova già ad una distanza tale da non poter essere rilevato a causa delle sue ridotte
dimensioni. Un fenomeno così maestoso qual è l'apparizione di una cometa
trova, dunque, la sua spiegazione in un oggetto celeste che, a ben guardare, non può che
risultare deludente...
Le dimensioni attualmente stimate per i nuclei cometari vanno da alcune centinaia di metri
a poche decine di km: l'analisi ravvicinata compiuta dalla sonda Giotto del nucleo della
Halley nel marzo 1986 ha reso possibile determinarne le misure in 15 x 7.2 x 7.2 km
evidenziando anche una forma fortemente irregolare. La localizzazione del massimo di
attività nel nucleo della Halley (rilevato sia dalla Giotto che dalle sonde Vega) proprio
agli estremi dell'ellissoide consente di escludere che la forma irregolare del nucleo
possa dipendere da un meccanismo di sublimazione preferenziale in certe zone. E' pertanto
preferibile ipotizzare che la cometa sia nata già di forma irregolare come un agglomerato
di frammenti (Keller e Thomas, 1989). Ed il modello più recentemente proposto per i
nuclei cometari prevede proprio non una struttura compatta quale quella suggerita da
Whipple, bensì un aggregato di frammenti con i ghiacci che agirebbero da collante (Mc
Sween e Weissman, 1989).
Tale descrizione è in linea con le ipotesi della struttura di alcuni asteroidi (rubble-pile)
e potrebbe efficacemente rendere ragione dello sbriciolamento del nucleo che è allorigine
dei fenomeni meteoritici associati alla dispersione di materiale cometario nello spazio.
Inevitabilmente, però, bisogna convenire con Taylor (1992) che, allo stato attuale, la
struttura interna dei nuclei cometari è ancora un mistero; ottime prospettive per
svelarlo sono riposte nella futura missione spaziale Rosetta, che analizzerà in loco il
nucleo della cometa Wirtanen.
Importantissimi per la determinazione dei parametri fisici delle comete sono stati, anche
in questo caso, i contributi delle sonde, prima fra tutte la sonda Giotto. Essa ha
permesso di misurare le emissioni del nucleo della Halley quantificando quella dei gas in
2x107 g/sec e quella delle polveri
in 0.3-1.0x107 g/sec; da questi
dati si può desumere che ogni passaggio nei pressi del Sole comporta per questa cometa
una perdita di circa 1014 g e,
poichè la stima della massa totale suggerisce un valore di 1017 g, possiamo in tutta sicurezza riconoscere molto più che plausibili i suoi
numerosi passaggi (una trentina) nei secoli scorsi, minuziosamente segnalati dalle
cronache storiche.Un altro dato estremamente significativo procurato dall'osservazione
ravvicinata del nucleo della Halley è il suo colore scuro: è infatti in grado di
riflettere solamente il 4% della luce solare incidente.
Continuando nell'analisi del nucleo cometario, la Figura 17 (Taylor, Solar
System Evolution, pag. 124, fig. 3.10.1) schematizza la sua struttura in modo molto
significativo e trova sostanziali conferme nelle immagini inviate a Terra dalla sonda
Giotto.
|
Figura 17 - Rappresentazione di un nucleo
cometario.
Vi si possono notare i vari processi che ne hanno modificato la morfologia iniziale: i
più importanti dal punto di vista osservativo sono certamente le fratture che lasciano
fuoruscire i gas e le polveri destinate ad alimentare la struttura della chioma e della
coda. |
Una ulteriore importante informazione ottenuta dal fly-by
della Giotto (la sonda è transitata ad una distanza di circa 600 km dal nucleo della
Halley) è la localizzazione delle zone di sublimazione dei gas: queste appaiono ben
delimitate localmente e corrispondono ad una superficie attiva valutabile in circa il 10%
della superficie nucleare.
Dopo aver più volte citato la missione Giotto ricordiamo, per dovere di precisione, che
il primo incontro di una sonda spaziale con una cometa è stato quello dell'International
Cometary Explorer (ICE) l'11 settembre 1985 con la cometa Giacobini- Zinner.
Le modeste dimensioni dei nuclei cometari trovano conferma anche da osservazioni radar
come nel caso delle rilevazioni (NASA-JPL) effettuate sulla cometa Hyakutake dalle quali
è risultato un nucleo di soli 1-3 km, il che fa supporre, data l'intensa attività
manifestata, che la porzione di superficie nucleare attiva fosse ben superiore al 10%
rilevato per la Halley (Cremonese, 1996).
Differente, invece, è il caso della Hale-Bopp per la quale, ipotizzando una frazione del
10-20% della superficie quale zona attiva, si è giunti a stimare un nucleo di 30-40 km,
misura confermata sia dall'analisi dell'intensità della radiazione termica emessa dal
nucleo, sia da immagini infrarosse riprese dal satellite europeo ISO, sia, infine,
dall'analisi del profilo di luminosità della chioma dal quale si è risaliti all'entità
della luce riflessa dal nucleo e, dunque, alle sue dimensioni.
Già si è accennato al fatto che, una volta esaurita la riserva interna di ghiacci,
oppure nell'impossibilità di fuoruscita di materiale sublimato a causa della presenza di
una sorta di crosta protettiva, l'aspetto del nucleo non sarà molto
dissimile da quello di un asteroide e la discriminazione tra oggetti appartenenti alle due
classi sarà praticamente impossibile (Wetherill e Shoemaker, 1982).
Un ultimo aspetto da sottolineare riguardo al nucleo di una cometa è rappresentato
dall'analisi della sua rotazione.
Nella descrizione del modello di Whipple si è già evidenziato che la rotazione del
nucleo, associata all'effetto-razzo, è fondamentale per interpretare i movimenti
cosiddetti "non gravitazionali" (anticipi e ritardi nei ritorni al perielio)
delle comete.
L'ipotesi della rotazione del nucleo si basava inizialmente solo su argomentazioni di tipo
statistico (non si conosce nessun corpo celeste che non sia dotato di rotazione), ma
l'affinarsi delle tecniche fotometriche (studio delle curve di luce) ha contribuito non
poco a confermare i dati teorici. Permangono talvolta alcuni dubbi nel quantificare
con precisione il periodo di rotazione, ma questo dipende dalle evidenti difficoltà
osservative legate alle ridotte dimensioni del nucleo, alla sua forma spesso fortemente
irregolare ed alla possibile imprevedibilità del meccanismo di emissione di gas e polveri
in seguito ad una variazione di reattività al calore solare. Per la Halley, ad
esempio, vi sono indicazioni contraddittorie tra la periodicità di 53 ore suggerita
dall'osservazione della riga Lyman-alfa dell'H (confermata dalle immagini ottiche riprese
dalla Giotto), e la periodicità di 7.4 giorni rilevata da misure fotometriche nelle bande
del C2, del CN e dell'OH).
La Hyakutake, al contrario, ha mostrato una rotazione decisamente più rapida, con il
periodo stimato in 6-8 ore.
Ed è questa elevata velocità di rotazione, unita alle piccole dimensioni del nucleo ed
all'intensa attività (interpretata come conseguenza di una superficie giovane e non
ancora ricoperta da alcuna crosta protettiva) che suggerisce l'ipotesi che questa cometa
sia un frammento staccatosi "recentemente" (sempre rapportato ai tempi cosmici!)
da un corpo cometario molto più grande (Crippa et al., 1996).
La chioma
E' l'elemento morfologico che dà
il nome a questi corpi celesti.
Il primo aspetto da evidenziare riguardo la chioma è la sua enorme estensione rispetto al
nucleo; per essa, infatti, pur nella impossibilità di effettuare una misura univoca, si
possono ipotizzare, al momento del massimo sviluppo, dimensioni tipiche comprese tra 30
mila e 100 mila km.
E'
costituita dai gas espulsi dal nucleo e le variazioni delle sue dimensioni
nell'avvicinamento al Sole dipendono da due meccanismi tra loro contrastanti: da un lato
vi è l'innalzamento della temperatura, che, aumentando la produzione di gas, tende ad
estenderla, dall'altro la maggiore pressione della radiazione solare, che tende a ridurla.
La chioma di una cometa è formata da tre gusci concentrici: procedendo dal nucleo verso
l'esterno incontriamo un primo ridotto involucro chiamato chioma interna (o chioma
molecolare), successivamente la chioma intermedia (o chioma dei radicali) ed infine
un enorme guscio chiamato chioma di idrogeno.
La struttura e le dimensioni tipiche di una chioma sono schematicamente indicate nella Figura
18 (adattata da: Tempesti, Giornale di Astronomia, pag. 152, fig. 2), notiamo
comunque che i valori riportati sono indicativi ed estremamente variabili da una cometa
all'altra, come si può evincere anche dalla seguente tabella (i valori riportati sono i
diametri espressi in km):
Nome della cometa |
Chioma Visibile |
Chioma di H |
Tago-Sato-Kosaka (1969 IX) |
500 mila |
15 milioni |
Bennett (1970 II) |
900 mila |
2 milioni |
Encke |
400 mila |
1 milione |
(Dati desunti da: Tempesti, Giornale di
Astronomia, vol.11, N.2, 145; 1985)
La formazione della chioma è l'elemento che consente di individuare le
comete tramite osservazione visuale quando ancora si trovano in media a circa 3 U.A. dal
Sole. E' alla individuazione della nebulosità della chioma che volge la sua
attenzione il cercatore di comete, una figura più che mai attuale, come conferma la
circostanza che la recentissima cometa 1996 B2 (una delle ultime scoperte in ordine di
tempo) è stata individuata il 31.01.96 da un fotoincisore giapponese, Yuji Hyakutake.
E, sempre a proposito dei cercatori di comete, ritengo interessante annotare che il
Catalogo di Messier del 1784 (la prima raccolta di oggetti galattici ed
extragalattici di particolare evidenza ottica) sia nato proprio come
"pro-memoria" per non considerare erroneamente come cometa una nebulosa o un
ammasso stellare.
Parlando della individuazione visiva delle comete è opportuno fare una breve
considerazione sulla luminosità di questi corpi celesti.
Se il nucleo fosse un oggetto inattivo alla luce solare, la sua magnitudine dipenderebbe
dalla distanza dal Sole (r) e dell'osservatore (Delta) secondo una proporzionalità
quadratica, suggerendo una relazione del tipo
m = mo + 5 log (Delta) + 5 log (r)
Ma il nucleo è fortemente reattivo alla radiazione solare e dunque la
relazione dovrà essere sostituita da
m = mo + 5 log (Delta) + 2.5 n log (r)
nella quale la dipendenza è del tipo rn.
Nella maggior parte dei casi il valore di n è compreso tra 2.5 e 11.5, è dunque molto
variabile da una cometa all'altra e, spesso, anche per una stessa cometa. A questo
proposito basterà ricordare la forte delusione associata alla cometa Kohoutek (1973, XII)
per la quale il valore di n stimato inizialmente (4.0) avrebbe dovuto portarla alla
magnitudine apparente -3; il parametro n, invece, diminuì fino al valore 2.0 e ciò
portò la cometa, nel momento di massima luminosità, soltanto alla 4a
magnitudine.
Fin dalle prime osservazioni spettroscopiche (ad opera di G.B. Donati e W. Huggins nel
1864) risultò che la chioma è costituita da composti del carbonio, dell'idrogeno,
dell'ossigeno e dell'azoto.
Nelle chiome di comete che si portano molto vicino al Sole sono state inoltre rilevate le
righe di emissione di metalli allo stato atomico quali Na, K, Mn, Cu, Fe, Co e Ni,
provenienti certamente dalla vaporizzazione del materiale meteoritico del nucleo. La
coppia di righe gialle del Na fu rilevata per la prima volta analizzando la cometa 1882 II
in prossimità del perielio, situato solamente a 0.06 U.A. dal Sole. L'analisi dettagliata
delle sostanze rilevate nelle chiome delle comete ha, fin dall'inizio, suggerito che le
molecole osservate non sono quelle fuoruscite dal nucleo, il che comporta che le molecole
espulse dal nucleo debbano essere più complesse (vengono dette anche molecole-madri);
esse costituiscono la chioma interna, struttura non direttamente accessibile alle
osservazioni. Queste molecole-madri originano, in seguito alla dissociazione
provocata dalla radiazione solare, le cosiddette molecole-figlie che costituiscono
l'involucro intermedio o chioma visibile.
Le molecole-figlie sono principalmente, oltre al radicale OH, il carbonio bimolecolare
(C2) che origina le bande di Swan, il cianogeno (CN) e l'ossido di carbonio
ionizzato (CO+).
L'abbondanza spettroscopica dell'ossidrile OH+ ed il fatto che venisse rilevato un forte
aumento di luminosità e di estensione della chioma a distanze inferiori a 3 U.A.
(distanza alla quale si raggiunge una temperatura che consente l'evaporazione del ghiaccio
d'acqua) induceva a concludere che proprio il ghiaccio d'acqua fosse quello prevalente tra
i ghiacci cometari, ma suggeriva anche la presenza sicura di Idrogeno.
La conferma venne nel 1970 quando il satellite OAO2, per mezzo di osservazioni
nellultravioletto, rilevò attorno alla chioma della Tago-Sato-Kosaka (1969, IX) un enorme
involucro di idrogeno, inosservabile da Terra. Dall'analisi dei dati relativi a
varie comete, rilevati anche grazie ai satelliti, si può desumere che l'acqua costituisca
circa 80% delle molecole emanate dal nucleo. Oltre all'acqua, fra le molecole-madri
si ha, in quantità però decisamente minore, l'anidride carbonica (CO2), l'acido
isocianidrico (HNC), l'ammoniaca (NH3), il cianuro di metile (CH3CN) ed il metano (CH4).
La rilevazione dellabbondanza relativa dellacido isocianidrico (HNC) rispetto allacido
cianidrico (HCN) osservata nella cometa Hyakutake hanno portato W.M. Irvine e
collaboratori (1996) a constatare come tale rapporto sia molto simile a quello osservato
nelle nubi molecolari interstellari e piuttosto differente dal rapporto di equilibrio che
ci si aspetterebbe nelle zone più esterne della nebulosa solare, dove si pensa che le
comete si siano formate e questo fatto, di cui vengono proposte varie spiegazioni, non
può che confermare come vi siano ancora molti punti oscuri nella piena comprensione di
questi oggetti celesti.
Da osservazioni radio della stessa cometa è emersa la presenza di abbondante emissione
(2.2x1026 molecole/sec) di etano (C2H6) con il picco sulla regione nucleare,
localizzazione che induce a considerare l'etano come molecola-madre e non prodotto di
dissociazione (Cremonese, 1996); dell'importanza di questa abbondante produzione (e della
sua interpretazione) abbiamo già parlato affrontando il tema dellorigine delle comete.
Ha destato qualche perplessità, anche perchè era la prima volta in assoluto che ciò si
verificava, la scoperta (27.03.1996) di emissione di raggi X di bassa energia dalla cometa
Hyakutake rilevata dal satellite orbitante tedesco ROSAT (IAUC 6373). Attualmente
tale fenomeno è stato osservato in altre otto o nove comete e sono già state avanzate
alcune ipotesi in grado di rendere ragione dell'emissione.
Una prima ipotesi prevede un meccanismo di cattura di raggi X di origine solare da parte
di una nuvola di molecole di acqua e successiva riemissione in un processo di
fluorescenza; una seconda ipotesi spiega il fenomeno ricorrendo a meccanismi di
riflessione di raggi X di origine solare ad opera di grani sub-microscopici di polvere
espulsi dal nucleo (Caprara, 1996; Cremonese, 1996).
Ma l'ipotesi al momento ritenuta più plausibile, suggerita dai ricercatori
dellUniversità del Michigan, è che il fenomeno possa essere ricondotto alla violenta
interazione tra gli atomi e le molecole della chioma con il vento solare, situazione che
porterebbe alla cattura di elettroni il cui successivo decadimento a livelli energetici
inferiori avrebbe come risultato il rilascio energetico nella regione X dello spettro.
La coda
Pur essendo, per tradizione, il
tratto caratteristico (e certamente più spettacolare) di una cometa, non sempre la coda
accompagna l'apparizione di questi corpi celesti. E' in ogni caso molto raro, poi,
che essa giunga a proporzioni così ragguardevoli come nel caso della Ikeya-Seki (1965
VIII), una cometa la cui coda ha raggiunto l'eccezionale lunghezza di quasi 1 U.A.
Che la coda fosse in qualche modo collegata con l'emissione di materia dal nucleo sospinta
da generiche forze repulsive solari era stato ipotizzato fin dall'inizio del secolo scorso
(da Olbers e Bessel) anche in forza del dato osservativo che suggeriva sempre per la coda
un orientamento volto in direzione opposta al Sole, il che comporta che la coda segua il
nucleo durante l'avvicinamento al perielio, ma lo preceda nella fase di allontanamento dal
Sole. Già alla fine del 1800 Svante Arrhenius identificava questa forza con la
pressione esercitata dalla radiazione elettromagnetica.
L'analisi spettroscopica delle code cometarie mostra la presenza di due componenti
distinte: coesistono, infatti, sia uno spettro continuo di tipo solare, sia uno spettro a
bande luminose. L'interpretazione che ne deriva è che il continuo sia dovuto a
riflessione della luce solare ad opera del pulviscolo (espulso dal nucleo assieme ai gas),
mentre quello in emissione sia causato da gas eccitato dalla radiazione solare.
Questa duplice natura diventa evidentissima in alcuni casi (ad esempio la cometa Mrkos,
1957 V) in cui si è potuto notare una vera e propria biforcazione della coda cometaria.
Oltre che l'analisi spettroscopica, dunque, anche l'osservazione visuale permette di
identificare la tipologia della coda: nel caso della coda di polveri si può notare
una struttura ad arco, mentre la coda di plasma è caratterizzata da una struttura
rettilinea disposta lungo la congiungente Sole-cometa. La tipica forma arcuata della
coda di polveri si spiega grazie all'azione di tre componenti: la velocità della cometa
nel suo moto orbitale, la forza gravitazionale (attrattiva) che si esercita sui granuli di
polvere e la pressione di radiazione (repulsiva). Il rapporto tra le ultime due
rimane praticamente costante, a pari dimensioni delle particelle, a qualunque distanza dal
Sole poichè entrambe variano con l'inverso del quadrato della distanza. Non è
costante, invece, la velocità della cometa nella sua orbita, per la quale vale la terza
legge di Keplero, che prevede un progressivo aumento della velocità avvicinandosi al
perielio. Questo comporta essenzialmente due conseguenze per la coda di una cometa
in avvicinamento al Sole: anzitutto un aumento delle sue dimensioni, e, in secondo luogo,
la maggiore evidenza del fenomeno della curvatura della coda di polveri.
Fin verso la metà del secolo si è tentato di applicare lo stesso meccanismo per spiegare
le code di plasma; le molecole, però, non hanno nei confronti della radiazione il
comportamento puramente meccanico del pulviscolo, ma coinvolgono processi di assorbimento
e riemissione della radiazione che solamente lo sviluppo della Meccanica Quantistica ha
potuto definire.
La soluzione del problema, giudicata valida ancora oggi, fu formulata negli anni '50 da
L.F. Biermann che identificò il vento solare (fondamentalmente composto da protoni ed
elettroni emessi dal Sole con una velocità di 500 km/sec) quale responsabile dell'origine
delle code di plasma delle comete; furono proprio i fenomeni osservati in queste code a
dare indicazioni e fornire prove sull'esistenza di una radiazione solare di tipo
corpuscolare. In questa ottica si riescono a spiegare le repentine disconnessioni e
successivi ricongiungimenti (più volte osservati) della coda di plasma dal nucleo; il
vento solare, infatti, essendo costituito da nubi disomogenee di cariche elettriche in
moto, genera campi magnetici rapidamente variabili nel tempo, ed in essi si muovono lungo
traiettorie non sempre lineari le particelle costituenti le code.
In seguito alla missione spaziale destinata allo studio della cometa Giacobini-Zinner
(International Cometary Explorer) durante il suo passaggio del 1985, si sono raccolti dati
che hanno reso possibile ipotizzare la struttura della coda. Essa era formata da due
lobi distinti, ognuno di essi composto da linee di campo magnetico che si estendevano
dalla chioma; i due lobi erano dotati di opposta polarità e tra di essi vi era un
"divisorio" di corrente elettrica (Figura 19 - AA.VV., The
Giacobini-Zinner handbook, pag. I-8, fig. I-4
Contrariamente a quanto rappresentato, però, non è stata individuata
alcuna onda durto di prua o "bow-shock" nelle vicinanze del nucleo).
Questa struttura traeva origine dallinterazione della ionosfera cometaria con le linee del
campo magnetico interplanetario. L'azione del vento solare sulla superficie esterna
generava poi una struttura complessa, un avvolgimento delle linee di campo intorno al
nucleo "come di spaghetti su una forchetta" (Von Rosenvinge et al.,
1986).
Le osservazioni intraprese in occasione del passaggio delle due ultime spettacolari comete
(la Hyakutake e la Hale-Bopp) hanno portato nuove importanti conoscenze in merito alle
code cometarie. Grazie alle rilevazioni della sonda SOHO è stato possibile,
infatti, individuare nella cometa Hyakutake una terza coda (oltre alle due tradizionali)
formata da ioni pesanti, mentre l'impiego di particolari filtri nelle osservazioni della
cometa Hale-Bopp ha evidenziato una coda costituita da atomi di Na neutro fino ad allora
sfuggita ad ogni rilevazione (IAUC 6631). Questultima coda è risultata lunga 50
milioni di km e larga circa 500 mila km, ben distinta dalle altre due code e spostata
angolarmente di alcune decine di gradi rispetto ad esse; osservazioni specifiche, poi,
hanno consentito di dimostrare che tale coda non ha nulla a che vedere con la tradizionale
coda di plasma. Allo stato attuale non è ancora ben chiaro il meccanismo che sta
allorigine di questa coda: le perplessità maggiori stanno nel fatto che il Na si trova a
grandi distanze dal nucleo, ma a quel punto, secondo i modelli standard, si dovrebbe già
essere ionizzato e dunque non dovrebbe più lasciare traccia.
Un secondo aspetto problematico è l'enorme accelerazione cui sono soggetti gli atomi di
Na (la loro velocità è di 58 km/sec ad una distanza di 5 milioni di km dal nucleo e ben
95 km/sec ad una distanza doppia), accelerazione che non è spiegabile ricorrendo
unicamente all'azione del vento solare.
E molto facile a questo punto, ed il lettore se ne sarà certamente reso conto, concludere
il discorso relativo alle comete sottolineando come siano ancora molti i punti oscuri
nella comprensione di questi fenomeni celesti; limportante è non disperare di riuscire a
strappare, si spera in un giorno non lontano, anche gli ultimi segreti di questi corpi
ghiacciati, autentici "vagabondi dello spazio" (Lang e Whitney, 1994).
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